Artrosi dell’anca
L’artrosi dell’anca e’ una patologia di grande impatto per la qualita’ della vita di chi ne soffre. Quando la malattia e’ nelle sue fasi iniziali e se diagnosticata in tempo utile, puo’ essere trattata con la tecnica mini invasiva dell’artroscopia. Nelle forme di artrosi dell’anca piu’ avanzate, invece, e’ necessario l’impianto di una protesi articolare.
Ne parla il dr. Giovanni Grano, direttore dell’Unita’ Operativa di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Cittadella, Centro Regionale del Veneto Specializzato per la prevenzione, lo studio e il trattamento dell’artrosi deformante dell’anca.
Dr. Grano, che cos’e’ e da cosa e’ causata l’artrosi dell’anca?
L’artrosi dell’anca e’ una patologia degenerativa della cartilagine articolare che ha un carattere evolutivo e quindi tende a progredire nel tempo. L’artrosi puo’ essere primitiva o secondaria a patologie predisponenti. Le forme primitive sono essenzialmente genetiche causate da mutazioni delle fibre collagene del tessuto connettivo della cartilagine. Le forme secondarie possono essere causate da alterazioni dello sviluppo sia dell’acetabolo (displasia congenita dell’anca, FAI tipo Pincer (Figura 1)
che dell’epifisi prossimale del femore (Malattia di Perthes, Epifisiolisi, sindrome da impingement femoro-acetabolare tipo Cam) (Figura 2)
possono essere secondarie a traumi (fratture-lussazioni) (Figura 3)
o a patologie destruenti quali la necrosi della testa del femore, le artriti infiammatorie e l’artrite settica (figura 4).
Cosa si intende per impianto di protesi e quando deve essere impiantata?
La protesi d’anca e’ un mezzo meccanico costituito da una parte acetabolare chiamata coppa ed una parte femorale chiamata stelo che deve ”integrarsi” nell’articolazione dell’anca rispettando tutti quei parametri biomeccanici (Centro di rotazione, Angolo Cervico – diafisario, Off-set, Level-arm) che sono alla base del buon funzionamento della protesi e che ne condizionano la durata nel tempo. Per quanto riguarda il momento in cui deve essere impiantata ritengo che deve essere il paziente a decidere quando sottoporsi all’intervento valutando la propria qualità di vita. Certo che di fronte ad una sintomatologia dolorosa non piu’ controllata con le terapie farmacologiche e di fronte ad una notevole limitazione funzionale che impedisce lo svolgimento delle normali attività della vita quotidiana non dovrebbe essere difficile accettare l’intervento.
Quati tipi di protesi esistono?
Le protesi si distinguono per tipo di fissazione (cementate o non cementate) o per modello della coppa (emisferica, avvitata, tronco-conica) (figura 5)
e dello stelo che può avere dimensioni standard ( retto, anatomico) (figura 6)
o corto ( a conservazione del collo femorale, a presa metafisaria) (figura 7-8).
Quali sono i criteri che condizionano la scelta della protesi?
E’ la prima domanda che mi rivolgono i pazienti: che protesi mi impianta? La mia risposta: bisogna adattare la protesi al paziente che ho di fronte, considerando l’eta’, il peso, le esigenze funzionali e le caratteristiche anatomiche dell’articolazione. La protesi cementata viene utilizzata ormai soltanto nei soggetti anziani. Per quanto riguarda le protesi non cementate la tendenza e’ di utilizzare delle protesi corte (short-stem) nei soggetti giovani in modo da risparmiare il più possibile il bone-stock femorale. Questo atteggiamento conservativo ritornera’ utile in caso di reimpianto della protesi.
Qual e’ la durata di una protesi?
La durata di una protesi, correttamente impiantata, si aggira intorno ai 15-20 anni.
Di quale materiale sono fatte le protesi?
La maggiorparte delle protesi (cotile e stelo) sono in titanio, materiale resistente e molto tollerato. La protesi deve, pero’, articolarsi e lo snodo necessita di un abbinamento di materiali che puo’ essere rappresentato da testina ed inserto in ceramica, testina in ceramica ed inserto in polietilene, testina in metallo ed inserto in polietilene, testina ed inserto in metallo. L’accoppiamento ceramica-ceramica e’ quello più usato, in quanto la ceramica di ultima generazione (Biolox Delta) rappresenta un materiale ad alta resistenza e con un basso coefficiente di attrito che limita notevolmente il fenomeno del “debris disease” cioe’ il distacco di particelle inerti che causano lo scollamento asettico della protesi. Un altro accoppiamento usato è ceramica-polietilene, due materiali con modulo di elasticità differente, ma che grazie al polietilene di ultima generazione (cross- linked) garantisce un ridotto debris. Negli ultimi anni vi e’ stato un graduale abbandono dell’accoppiamento metallo-metallo, soprattutto per i potenziali danni causati dalla metallosi e dal rilascio di ioni cromo e cobalto.
Come si esegue l’intervento di protesi d’anca
Nell’ultimo decennio si è andata sempre più affermando la filosofia della “Tissue Sparing Surgery”, cioe’ la chirurgia del risparmio tissutale. Considerato che l’elemento ammalato è l’articolazione dell’anca (acetabolo e testa femorale), un bravo chirurgo deve riuscire ad integrare la protesi danneggiando il meno possibile tutte quelle strutture anatomiche integre. Quindi un intervento mininvasivo prevede un’incisione cutanea di dimensioni ridotte (circa 10cm) (figura 9),
si devono utilizzare dei piani intermuscolari senza incidere tendini e muscoli, bisogna limitare le perdite ematiche e bisogna preservare il più possibile il tessuto osseo. Soltanto se riusciamo a rispettare tutti questi parametri possiamo dire di aver eseguito un intervento di protesi d’anca con tecnica mini-invasiva, che permette al paziente l’inizio di una deambulazione in prima giornata post-operatoria ed un più rapido recupero funzionale. Per quanto riguarda l’anestesia anche in questo bisogna essere mininvasivi, pertanto, se non ci sono controindicazioni, viene eseguita un’anestesia spinale con sedazione.
Qual è la via chirurgica più indicata per l’impianto della protesi d’anca?
E’ la via chirurgica con la quale il chirurgo ha piu’ familiarita’. Può essere anteriore, antero-laterale, laterale diretta o postero-laterale, l’importante, come gia’ sottolineato, e’ il rispetto delle strutture anatomiche integre in modo da poter ”integrare” la protesi nell’articolazione.